Nell’arcipelago del Mar dei Caribi e in una stretta fascia costiera vivono 25.000 indigeni; oggi sono una popolazione pacifica ma un tempo erano molto bellicosi e forti: riuscirono infatti a scacciare diverse tribù per prenderne le terre. Si tratta dei Cuna di Panama.
In base ad antichi trattati questi indios sono i proprietari del territorio in cui vivono che, se sfruttato turisticamente, avrebbe un grandissimo valore. Ma questa opzione non rientra per niente nelle loro scelte future.
I Cuna vivono nella comarca (la provincia) di San Blas; sono i discendenti degli antichi Cuena. Sono legalmente cittadini dello stato di Panama, ma hanno una tale autonomia da potersi considerare indipendenti. La maggior parte di questo popolo vive nell’Arcipelago delle Perlas, costituito da circa 350 isole, il resto in terraferma.
Le donne nubili portano i capelli lunghi, le sposate sono obbligate a tagliarli corti. Gli abiti femminili vengono confezionati con il tradizionale telo chiamato “mola”. Le molas appena lavate vengono messe ad asciugare davanti alle capanne, creando una serie di colori e di ricami davvero vivace! Le donne che posseggono qualche oggetto prezioso lo indossano in continuazione: non è difficile vederle che lavano i panni con addosso collane e braccialetti preziosi e ingombranti.
I Cuna seguono la tradizione matrilocale: gli sposi, cioè, vanno a vivere a casa della moglie, dove il suocero è il capofamiglia. In alcune zone di terraferma dei Cuna si segue ancora l’antica tradizione del matrimonio combinato dai genitori, senza alcuna partecipazione o volontà degli interessati. In genere l’iniziativa viene presa dal padre della ragazza, che ne decanta pubblicamente la bellezza, la purezza e la capacità di lavoro. Il padre dell’aspirante sposo si fa avanti e descrive le virtù del figlio e chiede un compenso: nella società matrilocale è infatti l’uomo che arricchisce la famiglia della sposa.
Per spostarsi in acqua i Cuna utilizzano il cayuco, una canoa ricavata da un tronco d’albero. L’imbarcadero serve soprattutto per l’approdo dei barconi con cui i mercanti colombiani giungono per comperare le noci di cocco.
L’economia è basata proprio sulla noce di cocco, che viene venduta principalmente ai mercanti colombiani. Molti indios però lavorano anche nelle aziende agricole in terraferma.
Molto rinomata è la loro medicina con le erbe che crescono in terraferma, che secondo le loro tradizioni riescono a curare ogni male.
La religione è un argomento delicato: in passato era di tipo naturale, si basava su un’ingenua cosmogonia pagana, dove il Sole era all’origine di tutte le cose. Dopo il ‘500 la religione dei Cuna venne arricchita con i meravigliosi misteri della predicazione cristiana. Dal panteismo si passò al monoteismo: il Dio creatore delle cose si chiama Pab-Tummadì, che tradotto significa “Dio Grande Capo”.
In base ad antichi trattati questi indios sono i proprietari del territorio in cui vivono che, se sfruttato turisticamente, avrebbe un grandissimo valore. Ma questa opzione non rientra per niente nelle loro scelte future.
I Cuna vivono nella comarca (la provincia) di San Blas; sono i discendenti degli antichi Cuena. Sono legalmente cittadini dello stato di Panama, ma hanno una tale autonomia da potersi considerare indipendenti. La maggior parte di questo popolo vive nell’Arcipelago delle Perlas, costituito da circa 350 isole, il resto in terraferma.
Le donne nubili portano i capelli lunghi, le sposate sono obbligate a tagliarli corti. Gli abiti femminili vengono confezionati con il tradizionale telo chiamato “mola”. Le molas appena lavate vengono messe ad asciugare davanti alle capanne, creando una serie di colori e di ricami davvero vivace! Le donne che posseggono qualche oggetto prezioso lo indossano in continuazione: non è difficile vederle che lavano i panni con addosso collane e braccialetti preziosi e ingombranti.
I Cuna seguono la tradizione matrilocale: gli sposi, cioè, vanno a vivere a casa della moglie, dove il suocero è il capofamiglia. In alcune zone di terraferma dei Cuna si segue ancora l’antica tradizione del matrimonio combinato dai genitori, senza alcuna partecipazione o volontà degli interessati. In genere l’iniziativa viene presa dal padre della ragazza, che ne decanta pubblicamente la bellezza, la purezza e la capacità di lavoro. Il padre dell’aspirante sposo si fa avanti e descrive le virtù del figlio e chiede un compenso: nella società matrilocale è infatti l’uomo che arricchisce la famiglia della sposa.
Per spostarsi in acqua i Cuna utilizzano il cayuco, una canoa ricavata da un tronco d’albero. L’imbarcadero serve soprattutto per l’approdo dei barconi con cui i mercanti colombiani giungono per comperare le noci di cocco.
L’economia è basata proprio sulla noce di cocco, che viene venduta principalmente ai mercanti colombiani. Molti indios però lavorano anche nelle aziende agricole in terraferma.
Molto rinomata è la loro medicina con le erbe che crescono in terraferma, che secondo le loro tradizioni riescono a curare ogni male.
La religione è un argomento delicato: in passato era di tipo naturale, si basava su un’ingenua cosmogonia pagana, dove il Sole era all’origine di tutte le cose. Dopo il ‘500 la religione dei Cuna venne arricchita con i meravigliosi misteri della predicazione cristiana. Dal panteismo si passò al monoteismo: il Dio creatore delle cose si chiama Pab-Tummadì, che tradotto significa “Dio Grande Capo”.
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